Tout est pardonné

"Je suis Charlie", tantissime persone di ogni dove hanno inteso testimoniare con questa frase la loro ferma difesa della libertà di espressione e di satira. Quella stessa libertà che è costata la vita ai giornalisti ed ai disegnatori del giornale satirico Francese “Charlie Hebdo”, da cui appunto lo slogan “Je suis Charlie".
Ad essere sinceri, molte di quelle "manifestazioni del pensiero" pubblicate da Charlie Hebdo, tradotte in vignette gratuitamente volgari, sono davvero disgustose e imbarazzanti ma, per porvi rimedio, è sufficiente ignorare siffatte pubblicazioni.
Viceversa, la magistrale e commovente vignetta pubblicata proprio da Charlie Hebdo immediatamente dopo la strage ed a commento della stessa: il Profeta Maometto che dice: "Tutto è perdonato"; è la dimostrazione che il cammino degli uomini è imperscrutabile ed in compagnia di ciascuno c'è occasione di percorrere tratti di strada e di vita più o meno lunghi di cui stupirsi e ringraziare.
Quanti hanno sposato “Je suis Charlie” per opportunismo? Quanti non l'hanno fatto per evitare commenti su una mediocrità quotidiana priva di coraggio ed a “libertà ridotta”?
Non sono domande utili, rischiano di riportare l'accento su quel moralismo che domina la scena umana mondiale separando l'azione dall'ideale e lasciando l'uomo nell'impossibilità di scoprire (incontrare) e sperimentare efficacemente l'originaria natura del suo essere: fatta per il bello, la giustizia, la verità e la libertà.
È utile, anzi indispensabile, lasciare che la realtà ci ferisca, che faccia emergere quei desideri che un mio vecchio conoscente chiamava “le esigenze elementari”, per rimetterci in strada, per farci ritornare uomini, per far riemergere quella “somiglianza” che mette nella matita di un vignettista solitamente insopportabile quella commovente frase: “tutto è perdonato”. Destino e compimento di ciascuno che emerge prepotentemente dalla realtà, anche la più tragica e drammatica. Grazie monsieur Luz, "Tout est pardonné" è proprio quello che ognuno di noi desidera sentire dire a sé, per il proprio male, prim'ancora che per quello degli altri. (in memoria di Antonio)


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